di Antonio Amatruda
La statua d’argento di S. Andrea Apostolo, patrono di Amalfi, fu commissionata dall’arcivescovo Mons. Michele Bologna all’argentiere Giuseppe Conforto su disegno e modello dello scultore Matteo Bottigliero, discepolo di Lorenzo e Domenico Antonio Vaccaro.
L ‘opera fu pronta per la festa del 30 novembre 1717 secondo le caratteristiche che presule e argentiere pattuirono il 10 luglio 1717. Eccone alcune: la statua da sopra la pedagna alla testa avrebbe dovuto essere alta quattro palmi (cm 104); il braccio destro col gomito appoggiato alla croce dorata ed in mano un mazzo di fiori recante al centro la reliquia dell’Apostolo; il sinistro abbracciare il libro del Vangelo aperto anch’esso dorato.
Il costo della manifattura fu di 500 ducati. L’argento fu fornito da mons. Bologna e in precedenza l’argentiere si era obbligato a non utilizzare più di ottanta libbre di metallo. Evidentemente questa era la quantità di cui disponeva il presule.
Dal poemetto Le Glorie di Mons. Bologna composto dal poeta di Tramonti Matteo Abbate poco dopo la morte del presule, apprendiamo come egli riuscì a procurarsi l’argento necessario:
Alla sua casa poi pensò mandare
tutto l’argento suo fece venire
con dire che voleva comitare
molti signori, e non potea complire
venne l’argento e senza pur tardare
in Napoli mandollo con ardire
La statua fe fare com’è noto
A Sant’Andrea Suo e sciolse il voto.
Mons. Bologna dunque utilizzò l’argento del vasellame di famiglia che chiese ai suoi parenti col pretesto di non sfigurare in occasione di un banchetto. E’ opportuno ricordare che i Bologna erano nobili, patrizi napoletani e duchi di Palma, l’attuale Palma Campania.
Sciolse il voto. Così si concludono i versi. Dallo stesso poema apprendiamo che una grave malattia colpì l’arcivescovo e fece temere per la sua vita quando iniziò i lavori per trasformare il duomo. Attribuì la guarigione all’intercessione di S. Andrea per cui il presule provvide ad abbellire la cattedrale secondo i nuovi gusti barocchi con ancora maggiore impegno. La realizzazione della statua fu il culmine di un’immane attività che impegnò l’arcivescovo più di dieci anni e costò più di 20.000 ducati come emerge dalla lapide commemorativa posta in duomo accanto alla porta di bronzo.
Nella mano destra al centro della ghirlanda di fiori vi è una reliquia del ginocchio di S. Andrea, la rotula, reliquia che in precedenza era inserita nel petto della statua in rame dorato.
Il reliquiario d’argento a forma di medaglione che pende dal collo contiene due pezzetti di legno uniti in croce decussata. Sono reliquie delle croci del martirio dei due fratelli S. Pietro e S. Andrea. Questo interessante particolare non si rinviene in due inventari degli inizi dell’ottocento in cui si descrive la “reliquia nel petto col legno della sua croce”, quindi del solo S. Andrea.
L’ultimo inventario presente nell’archivio capitolare, del 1931, specifica ancora una volta che si tratta delle reliquie dei legni del martirio dei due Apostoli. Probabilmente l’autore, il canonico del duomo don Giacomo Covone, aveva sotto mano l’antico inventario del 1743 e su di esso basò la descrizione.
Il medaglione attuale fu realizzato nel 1765 e sostituì il precedente descritto nel 1743 vendendo gli ex voto che erano appesi alla statua. Quasi tutti i donatori degli ex voto venduti sono anonimi. Tuttavia c’è un’eccezione che piace brevemente citare. Il 29 novembre 1731 davanti al notaio Giuseppe Casanova l’amalfitana Angela Cimino affermò che i mesi passati era stata colpita da febbre maligna per cui era stata licenziata dai medici ed aveva ricevuto anche i Sacramenti, in pratica non c’era più niente da fare. Fece perciò voto a S. Andrea che se fosse guarita avrebbe donato
la catenina d’oro più grande che aveva. Ottenuta la guarigione per intercessione dell’Apostolo, consegnò al sacrista maggiore una “cateniglia d’oro” di tre once meno un terzo, equivalenti a circa 70 grammi, da appendere al collo della statua di argento.
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Dalla visita pastorale di mons. Scorza del 1743 apprendiamo alcuni particolari della statua.
I fiori nella mano sinistra. Il sacerdote don Onofrio Aurisicchio di Atrani, già Vicario Generale di mons. Bologna, nel suo testamento lasciò 15 ducati per un fiore di argento da eseguire per S. Andrea oppure un’altra suppellettile a discrezione degli eredi. Un analogo legato era previsto per la statua di santa Maria Maddalena di Atrani.
Il nipote dottor Orazio Aurisicchio donò il fiore il 31 ottobre 1732. Come dichiarò al notaio i motivi del gesto erano di adempiere al legato, la devozione ed affetto che portava per S. Andrea ed affinché si accrescesse la devozione dei fedeli verso l’Apostolo.
L’opera aveva un valore di trenta ducati ed è così descritta: “un fiore d’argento consistente in tre fiori, cioè quello di mezzo ad uso di Garofalo, e l’altri due in una Nemola, et in un Ranuncolo grossi”. Fu consegnata a don Giovanni Battista Gambardella Tesoriere e Sacrista maggiore della Cattedrale il quale ricevendolo promise di porlo nelle mani di S. Andrea e di non toglierlo per nessun motivo.
I tre fiori dunque sono al centro un garofano ed ai lati un ranuncolo ed un’anemone. Tuttavia non è chiaro quale sia l’uno e quale l‘altro.
Sono fiori non casuali ma ciascuno dotato di un preciso significato. Ad esempio il garofano spesso è simbolo del martirio. La simbologia dei fiori nella storia dell’arte non è univoca ma cambia in base all’epoca e al contesto, per cui è opportuno che si pronuncino gli esperti in materia.
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Il busto di S. Andrea in occasione delle feste del 27 giugno e 30 novembre è ornato del collare dell’Ordine del Toson d’oro e di una crocetta di smeraldi, esposti durante l’anno nel museo diocesano ( vedi il collare e la crocetta).
La provenienza del collare dell’Ordine del Toson d’oro è ignota. Un fermaglio d’argento riporta lo stemma di mons. Pietro Agostino Scorza, arcivescovo dal 1731 al 1748. Tuttavia è assai improbabile che provenga dalla sua famiglia in quanto erano nominati cavalieri dell’Ordine solo i membri delle case regnanti e i maggiori nobili d’Europa.
La crocetta di smeraldi è dono dell’arcivescovo Silvestro Miccù (1804 – 1830), francescano dei Frati Minori Osservanti. Egli nel suo testamento lasciò alla cattedrale due croci pettorali. Una di pietre false da collocarsi al petto della statua di bronzo della cripta. Dell’altra di pietre autentiche cosi dispose: “E l’altra atra croce di pietre fine voglio che si adorni il petto della statua grande di argento dello stesso santo apostolo”. Nell’inventario stilato dopo la sua morte, nel 1830, la crocetta con pietre preziose è così descritta: “Una croce con brillanti e pietre verdi per uso episcopio e laccio di margheritina e fiocchi d’oro” del valore di 205 ducati. E’ appunto il prezioso oggetto che da allora possiamo ammirare al petto del Santo in occasione delle feste.